TODO – 24 MARZO

IL LUOGO DELLA MEMORIA

Il mio luogo della memoria si chiama Salle, è un piccolo nucleo storico che si trova nel cuore del parco della Maiella, in Abruzzo. La strada che mi porta in questo posto, a me caro, è immersa nella natura, si è circondati dal verde e da un silenzio avvolgente che permette alla mente e allo spirito di liberarsi e di entrare in contatto con la natura stessa. Si percorrono una serie di curve, ognuna delle quali offre una prospettiva diversa del grande Parco e che permettono di osservare il luogo e di apprezzarlo da diverse angolazioni. Insieme alle curve, durante la salita che conduce a Salle, si incontrano passanti passeggiare o seduti a un bar a chiacchierare e macchine che sfrecciano oltre di te, mentre sei immerso nel panorama che ti circonda. In realtà l’esperienza che rende per me questo un luogo della memoria non è proprio il paese di Salle, bensì il ponte che si percorre per arrivarvi, in quanto è il posto dove pratico Bungee Jumping. Ricordo la prima volta che vi andai, ricordo la tensione e la paura di quello che stavo per fare contrapposte alla curiosità di capire e di vivermi ciò che mi aspettava. Ricordo di aver parcheggiato la mia macchina all’inizio di questo ponte e, una volta scesa, di aver cercato conforto nel paesaggio che mi circondava. Così ho iniziato a guardarmi intorno, il sole della calda giornata d’estate faceva brillare ogni singolo elemento lì presente. Presa dalla curiosità mi sono immediatamente affacciata oltre la ringhera che circondava gli estremi del ponte per vedere cosa c’era sotto di me; 110 metri mi separavano da molti alberi che dall’alto percepivo come piccole macchie l’una addossata all’altra, di un verde molto intenso che si stagliava contro il colore molto chiaro dei massi che stavano al di sotto di questi alberi; facendo un pò di attenzione sulla destra, tra gli alberi e questi grandi sassi, si intravedeva un ruscello, del quale in lontananza si riusciva anche a sentire il rilassante suono che emetteva. Alzando la testa invece davanti a me c’era la parete rocciosa della montagna lungo la quale era ben visibile il percorso che poi avrei dovuto fare per risalire. Così durante l’attesa del mio turno mi sono guardata intorno, cercando di apprezzare ogni singolo angolo di quella silenziosa natura, nella quale ho cercato di perdermi per entrarne a fare parte con la mente per rilassarmi.
Mi sono seduta all’ombra di un albero, con la schiena poggiata sullo strato di intonaco grezzo di una parete che accompagnava l’andatura della strada, alla fine del ponte verso il paesino in attesa del mio lancio e mentre cercavo di studiare le persone che mi passavano davanti per capire se anche loro provavano le mie stesse sensazioni oppure meno fermando coloro che si erano già lanciati per cercare incoraggiamento. Seduto accanto a me c’era un mio amico caro amico, che spesso si alzava per andare a cogliere le more per entrambi, nella speranza di far passare più velocemente il tempo d’attesa e per farmi distogliere lo sguardo dalla tensione che avevo e che si faceva sentire sempre più forte. Poco dopo arriva il fatidico momento,veniamo chiamati dai ragazzi dell’organizzazione così ci avviciniamo al loro gazebo per la registrazione e dopo averla fatta torniamo sul ponte per prepararci al lancio. Qui due ragazzi ci hanno messo su le imbracature e nel frattempo ci spiegavano come buttarci, che sarebbe stato preferibile farlo di testa e che una volta terminati i rimbalzi in volo dovevamo cercare di rialzarci tenendoci alla corda per non rimanere a testa in giù per tutto il tempo. Io in realtà non stavo capendo molto del loro discorso, in quanto l’unico mio pensiero era proprio il lancio stesso. Il primo a buttarsi è stato il mio amico, che impavido e senza freni si è lanciato senza che nemmeno gli facessero il conto alla rovescia. Durante il suo lancio io sono iniziata a salire sulla pedana, hanno attaccato le mie imbracature a questo grande elastico che poi mi avrebbe tenuta sospesa e proprio in quell’istante ho iniziato a provare delle sensazioni che nessuna altra esperienza mi aveva mai dato. Da un lato c’era la paura di buttarsi nel vuoto, dall’altro l’adrenalina di affrontare il volo e di lasciarsi cadere sentendosi liberi. In quello stesso istante non nego di aver ripercorso tutta la mia vita: mi sono rivista neonata, poi più grandicella mentre giocavo con mio fratello, poi parlare con i miei genitori, ho ripensato alle esperienze che mi avevano formato di più, alle persone alle quali sono più legata. Mentre con la mente ero impegnata a ripercorrere tutte queste tappe un voce di sottofondo, più debole rispetto a quella dei miei pensieri, mi chiede “Francesca Romana sei pronta? Conto fino a tre” e così prima che lui terminasse il countdown ho preso coraggio e mi sono lanciata, sfogando in un urlo liberatorio tutta la tensione che avevo accumulato nel frattempo, cercando di godermi ogni istante di quel salto nel vuoto. Prima del primo rimbalzo non capivo cosa mi stesse accadendo, poi invece ho iniziatoa godermi quella sensazionale esperienza che mi ha permesso per qualche minuto di evadere dalla realtà. Una volta terminati i rimbalzi una carrucola mi ha portata fino in basso, dove mi attendeva il mio amico e appena mi sono state tolte tutte le imbracature mi sono fatta il bagno nel ruscello, ripetendo più volte tra me e me che era la cosa più bella e la sensazione più forte che avessi mai provato. è questo che rende per me quel ponte il mio luogo della memoria, mi permette di far venire a galla il mio aspetto emotivo, conduce la mia mente a ricordi passati. Pratico tuttora questa disciplina perchè per me è un modo di alienarmi da tutto il resto e di scavare dentro di me, mi permette di provare forti emozioni l’una diversa dall’altra, mettendo insieme svariati frammenti di vita quotidiana e amplificandone l’effetto. Ho pensato inoltre a come poter rapportare questa esperienza con il mio progetto e credo che l’elemento del ponte come una struttura che si regge su pilastri possa ben relazionarsi con il linguaggio del Villaggio Olimpico e mi piacerebbe riuscire a creare degli affacci (analogicamente a quelli che io avevo dal ponte) che possano suscitare agli utenti della mia architettura le mie stesse emozioni e che possano rapportarsi al Villaggio Olimpico con un’altra ottica rispetto a quella attuale, magari attraverso la sensazione di lanciare uno sguardo nel vuoto.

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